La gestione della documentazione sanitaria rappresenta senz’altro una componente “comunicativa e legislativa” essenziale e vitale al pari della componente pratica, la quale si manifesta attraverso la diagnosi, la cura e l’assistenza degli utenti.
È assodato il fatto che tutta la documentazione sanitaria (elettronica e/o cartacea) facente parte del paziente è ritenuta atto pubblico di fede privilegiata: “facente piena prova fino a querela di falso del decorso clinico della malattia del paziente e dei vari fatti clinici che lo interessano” (Cassazione Sezioni Unite n. 7958 del 11/07/1992). Si tratta dunque di una esplicazione dell’intero processo assistenziale, consistente appunto in una serie di attività realizzate al fine di curare ed assistere i cittadini, attività che per la loro unicità e complessità devono obbligatoriamente essere documentate e quindi trascritte proprio all’interno della cartella clinica integrata.
Il fine ulteriore della suddetta documentazione consiste anche nella valutazione di eventuali profili di responsabilità da attribuire agli esercenti una professione sanitaria, nel momento in cui dovessero essere ravvisati o ravvisabili profili di responsabilità.
È quindi indispensabile tracciare e documentare tutto quanto si svolge nel proprio turno di lavoro, o all’interno di un percorso assistenziale; e soprattutto diviene obbligatorio rispettare tutti i requisiti cosiddetti “generali”, unitamente ad aspetti caratteristici di alcuni particolari setting assistenziali (esempio le check list in sala operatoria, prima, durante e dopo la trasfusione di emoderivati o emocomponenti).
Gli aspetti generali sono:
- rintracciabilità;
- chiarezza;
- accuratezza nella redazione;
- appropriatezza nel linguaggio adottato;
- attualità;
- veridicità;
- genuinità;
- pertinenza;
- completezza.
Il non rispetto di quanto sopra elencato, può comportare l’addebito di un reato.
Dal punto di vista penale i reati più significati sono senz’altro:
- falso materiale (art. 476 c.p.: Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici);
- falso ideologico (art. 479 c.p.: Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici).
Il punto di vista civile è senza dubbio indirizzato all’eventuale risarcimento danni nei confronti del soggetto danneggiato (in questo caso il paziente), per cui l’imperfetta compilazione della cartella clinica, nel caso in cui appunto vi fosse un ipotesi di nesso causale con il danno provocato al malato, comporterebbe un vizio proprio nell’accertamento di un eventuale profilo di responsabilità nei confronti dell’azienda sanitaria pubblica o privata; di fatto, proprio a causa di una non corretta o nulla compilazione della cartella clinica integrata, il giudice sarebbe impossibilitato a verificare la condotta commissiva o omissiva da parte dell’azienda e quindi del professionista sanitario. Tutto ciò si tradurrebbe in un pregiudizio per il paziente.
In conclusione, possiamo affermare che la cartella clinica integrata rappresenta la testimonianza documentale di quanto svolto dagli esercenti una professione sanitaria nei confronti del cittadino afferente al Servizio Sanitario Nazionale, e senza dubbio, oggi più che mai, diviene indispensabile trasferire e soprattutto plasmare in maniera funzionale tale strumento sul territorio, alla comunità vista la sempre maggiore esigenza di “curare ed assistere” a domicilio.