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Quel concetto “alto” della diligenza professionale

2023-12-17 00:57

Muzio Stornelli

Responsabilità professionale,

Quel concetto “alto” della diligenza professionale

l termine “diligenza” è divisorio! La diligenza rappresenta il confine fra la malpractice e la best practice. Basti pensare che nel mondo sanitario, le attività

Il termine “diligenza” è divisorio! La diligenza rappresenta il confine fra la malpractice e la best practice. Basti pensare che nel mondo sanitario, le attività svolte devono fare capo a professionisti dotati di una diligenza superiore alla media. Lo stesso Codice civile, così declina il lemma diligenza all’interno dell’articolo 1176: “Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

Tutta l’architettura del virgolettato ben si fonde addosso alla professione infermieristica, regolata non più da vecchi ed obsoleti riferimenti ottusi e secolari ma, finalmente governata da leggi lungimiranti e riconoscenti nei confronti di una professione centrale nel sistema salute.

Tale responsabilità tuttavia, chiede il conto! E per noi infermieri il conto è sinonimo di competenze, conoscenze, abilità, capacità, ancora una volta superiori alla media!

Parafrasando la sentenza di Cass. n. 18392/2017, ripresa da Daniela Zorzit (Onere della prova nella responsabilità sanitaria – Responsabilità, rischio e danno in sanità – Giuffrè editore), la diligenza professionale diviene la cartina tornasole al fine della valutazione di un eventuale inadempimento a carico dell’operatore sanitario. Tradotto: la bestpractice ben si associa alla diligenza, mentre la malpractice prenderebbe spunto ed origine dalla inadempienza, ovvero “non aver svolto in maniera diligente il proprio lavoro”. La Cassazione precisa che: per “inadempimento” deve intendersi la mancata attuazione di una regola di comportamento, ossia l’inosservanza delle “leges artis”. Poi aggiunge: “il parametro per valutare se c’è stato inadempimento dell’obbligazione professionale è fornito dall’art. 1176, comma 2, c.c., il quale determina il contenuto della prestazione in termini di comportamento idoneo per il conseguimento del risultato utile”. 

Calando così tanta giurisprudenza nella realtà quotidiana, ci troviamo a rappresentare la diligenza come il “fare bene – agire in conformità a regole predefinite di diligenza, prudenza, perizia”, senza la garanzia del risultato, senza cioè assicurare la guarigione del malato.

Si delinea un quadro rappresentato dalla malattia (con tutte le sue ripercussioni ed “esigenze”) da una parte e la diligenza professionale dall’altro. Non necessariamente la diligenza è simile alla guarigione nella sua accezione positiva ed allo stesso modo non necessariamente la non diligenza – accezione negativa – è sinonimo di peggioramento delle condizioni o addirittura morte del malato.

 Resta però stampato nell’adempimento professionale l’obbligo giuridico e, non da meno morale, di ricorrere ad un livello “alto” di diligenza, perfezionando le proprie conoscenze, affinando le proprie competenze, investendo nella formazione e nell’aggiornamento professionale, al fine di scongiurare quella deriva nel vortice dell’inadempimento, lui sì! sinonimo di ripercussioni legali nei confronti degli esercenti una professione sanitaria.

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