La contenzione, nelle sue varie manifestazioni e forme, potrebbe essere ancora oggi definita come una risposta sanitaria ad una incapacità organizzativa di far fronte alle pressanti richieste assistenziali. Bleijlevens la definisce come “qualsiasi azione o procedura che impedisca il libero movimento del corpo di una persona verso una posizione di scelta e/o il normale accesso al proprio corpo mediante l’uso di qualsiasi metodo che sia attaccato o adiacente al corpo stesso e che non può controllare o rimuovere facilmente” (Bleijlevens et al., 2016).
Negli ultimi anni molti progetti NO RESTRAINT sono stati implementati e realizzati in Italia e nel mondo; tuttavia, le domande che ciclicamente vengono riproposte, in particolare dai giuristi e più in generale da chi si occupa dei diritti umani, ivi compresi i diritti dei pazienti sono le seguenti: la contenzione è legale? Esistono leggi che l’autorizzano?
Sinteticamente potremmo rispondere NO. A prescindere dal consenso informato, non sono presenti riferimenti legislativi tali da giustificare un atto sanitario così lesivo della libertà altrui. Eppure, alcuni spunti di riflessione, utili ad approfondire il presente dibattito sono rinvenibili in disposti legislativi oramai datati nei “secoli”.
In Italia un primo tentativo di limitare l’uso degli strumenti di contenzione risale al 1904, durante il Congresso della Società Freniatrica Italiana”; lo psichiatra Ernesto Belmondo, durante la sua relazione, propone un nuovo modello assistenziale: “tutti i mezzi di contenzione dell’alienato sono condannevoli in ogni caso e da escludere nella pratica manicomiale. Essi possono – e quindi devono – essere sostituiti dalla sorveglianza continuata di personale idoneo ed in numero sufficiente, e dall’impiego di opportuni calmanti…”. In realtà al termine della sua relazione si accese un lungo dibattito, anche in considerazione del fatto che i calmanti, da Belmondo proposti come alternativa alla contenzione, di fatto sono considerabili anch’essi contenzione (chimica, farmacologica).
Nonostante ciò, al termine del dibattito venne proposta una definizione unanime, come rimedio: con la diminuzione dell’affollamento dei manicomi, con l’aumento del numero di medici e infermieri, con la elevazione intellettuale e morale di questi ultimi […], si attui anche in Italia, l’abolizione dei mezzi di coercizione per gli alienati.
In seguito, attraverso il Regio Decreto n. 615 del 18 agosto 1909, venne istituito il Regolamento sui manicomi e sugli alienati. A tal riguardo 3 articoli manifestano in maniera esplicita le intenzioni del legislatore:
· Articolo 34: riguardo gli infermieri, “non possono ricorrere a mezzi coercitivi se non in casi eccezionali col permesso scritto del medico…”;
· Articolo 60: nei manicomi debbono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente eccezionali i mezzi di coercizione degli infermi e non possono essere usati se non con l’autorizzazione scritta del direttore o di un medico dell’istituto;
· Articolo 61: in ogni manicomio deve essere tenuto […], un registro in cui siano indicati giorno per giorno, i malati a cui sono applicati i mezzi di coercizione.
Successivamente la legge 26 luglio 1975, n. 354, relativa alle norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, limita l’uso della contenzione al tempo strettamente necessario e sotto un controllo costante del sanitario, al solo fine di evitare danni a persone o cose o di garantire l’incolumità dello stesso soggetto. il concernete regolamento di esecuzione (d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230), all’articolo 82 specifica che tale coercizione fisica “si effettua sotto il controllo del sanitario con l’uso dei mezzi impiegati per le medesime finalità presso le istituzioni ospedaliere pubbliche”, immaginando una simile applicazione anche nei contesti di cura.
In realtà una normativa specifica in ambito sanitario si avrà parzialmente grazie all’entrata in vigore della legge 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. in particolare, gli articoli utili alla nostra disamina sono:
· Art. 33: norme per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari volontari e obbligatori;
· Art. 34: accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori per malattia mentale;
· Art. 35: procedimento relativo agli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di degenza ospedaliera per malattia mentale e tutela giurisdizionale.
Come si evince il presupposto all’uso della contenzione in ambito sanitario è giustificato solo ed esclusivamente di fronte ad un trattamento sanitario volontario e obbligatorio, eppure la coercizione rappresenta solo una eventualità: “una extrema ratio, applicabile esclusivamente se e nella misura in cui ciò sia indispensabile per attuare in condizioni di sicurezza il ricovero e le cure” (M. Massa: la contenzione. Profili costituzionali: diritti e libertà. Il nodo della contenzione. Diritto, psichiatria e dignità della persona).
Negli anni a seguire non vi sono state ulteriori norme in grado di legittimare una così grave violazione della libertà altrui. All’opposto moltissime sentenze hanno invece condannato tali atti, restituendo alle strutture sanitarie la responsabilità di utilizzare alternative valide e non certo coercitive nei confronti degli utenti.
Allo stesso modo anche il Codice di Deontologia medica unitamente a quello di alcune professioni sanitarie hanno circoscritto l’uso della contenzione al tempo strettamente necessario e in particolari situazioni cliniche. Inoltre, il Codice Deontologico delle professioni infermieristiche, dedica a tale argomento l’articolo 35, limitandone l’uso a situazioni eccezionali e temporanee; se ricorrono i presupposti dello stato di necessità, per tutelare la sicurezza della persona assistita, delle altre persone e degli operatori.
Da un punto di vista strettamente assistenziale, molte evidenze scientifiche, linee guida hanno circoscritto l’uso della contenzione come ultimo rimedio, quando cioè tutte le altre alternative hanno fallito. Inoltre:
· La prescrizione scritta dell’uso della contenzione deve essere scritta, indicando le ragioni precise della contenzione;
· La contenzione deve essere a termine ed il paziente non deve essere contenuto indefinitamente;
· La contenzione non deve essere imposta per più di 12 ore;
· Il paziente contenuto deve essere controllato ogni 30 minuti da personale addestrato, registrando il piano di sorveglianza;
· La reiterazione della prescrizione deve avvenire solo dopo ulteriore verifica delle condizioni del soggetto;
· La restrizione non va mai usata a fini punitivi, per comodità dello staff;
· La restrizione con mezzi fisici non deve produrre danno al paziente e deve indurre il minimo disagio possibile;
· Si deve garantire la possibilità di movimento ed esercizio (10 minuti ogni 2 ore), con esclusione della notte.
Concludendo, possiamo affermare che una risposta definita e univoca alla nostra domanda iniziale forse non esiste, ragion per cui sarebbe opportuno riadattare i contesti di cura e di assistenza, modificando gli ambienti, creando delle valide, legittime e complianti alternative alla contenzione.