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Corte dei conti declinata al mondo sanitario: un caso per parlarne.

2024-02-08 23:55

Muzio Stornelli

Sentenze, spunti di riflessione,

Corte dei conti declinata al mondo sanitario: un caso per parlarne.

Esistono tuttavia delle deroghe, rafforzate oggi con la legge 56/2023 (art. 13), possibilità offerte grazie ad alcune norme che a vario livello e in base ad alc

Da sempre il dipendente della Pubblica Amministrazione ha dovuto fare i conti con l’obbligo di esclusività, fedeltà, imparzialità, autorizzazione, che all’atto pratico si traducono, soprattutto, nella impossibilità di esercitare la propria attività, con caratteristiche di abitualità e professionalità, al di fuori dell’orario di servizio e della azienda pubblica di appartenenza.

Esistono tuttavia delle deroghe, rafforzate oggi con la legge 56/2023 (art. 13), possibilità offerte grazie ad alcune norme che a vario livello e in base ad alcune esigenze, sempre più preminenti, permettono ed hanno permesso ai pubblici dipendenti di esercitare la propria attività professionale oltre l’orario di lavoro. Tali opportunità, per il lavoratore, devono presentare le seguenti caratteristiche:

  • Essere posti in aspettativa non retribuita;
  • Essere dipendenti con regime part-time al 50%;
  • Operare nei giorni di non lavoro e in assenza di conflitto di interessi, a seguito di autorizzazione da parte della Pubblica Amministrazione;
  • Rispettare le 11 ore di pausa tra un turno e l’altro, così come normato dal decreto legislativo n. 66 del 2003.

Tutto ciò che viola tali vincoli rischia di degenerare nell’illecito e quindi andare incontro a vari profili di responsabilità: prima di tutti penale e civile, ma anche disciplinare e amministrativa. A tal riguardo, una sentenza viene in soccorso alla nostra argomentazione. Si tratta della Corte dei conti, sezione prima giurisdizionale centrale di appello, n. 121/2015/A, che viene invitata ad esprimere un parere rispetto ai ricorsi del Procuratore Regionale della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale per la regione Marche da un lato ed un infermiere dall’altro. 

La Procura della Corte dei conti della Regione Marche di fatto ha convenuto in giudizio un infermiere dipendente di una azienda sanitaria, quindi Pubblica Amministrazione, per sentirlo condannare al risarcimento di euro 56.535,82 in favore della stessa poiché aveva prestato, in un periodo pari a quasi 2 anni, attività libero-professionale retribuita presso due Case di cura private senza aver richiesto la prescritta autorizzazione all’ente pubblico di appartenenza, con violazione sia dell’art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165/2001 ovvero conflitto di interessi, sia del principio di esclusività del rapporto di lavoro pubblico. Il danno richiesto era stato diviso in due poste:

  • La prima era relativa alla differenza tra la retribuzione interamente percepita dall’ente di appartenenza e la retribuzione al 50% spettante ai dipendenti in regime part-time svolgenti altra attività lavorativa in costanza di servizio, quantificata in euro 19.352,75;
  • La seconda era individuata ai sensi dell’art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, che prevedeva l’obbligo del versamento, in conto entrate del bilancio dell’ente di appartenenza, dei compensi indebitamente percepiti dal dipendente, in quanto non autorizzato all’attività lavorativa esterna, quantificata in euro 37.183,07 sulla base delle fatture emesse.

La Sezione territoriale manifesta il suo rigetto sulla prima posta, affermando che non sussiste un danno patrimoniale per l’ente, dal momento in cui l’infermiere aveva svolto le prestazioni libero-professionali in periodi in cui non era in servizio presso la struttura pubblica.

Dal punto di vista dell’infermiere invece, quest’ultimo esprime la sua contrarietà rispetto al ricorso della Procura della Corte dei conti, in quanto a suo dire, non risulta provato l’eventuale pregiudizio o disservizio arrecato dal dipendente all’Amministrazione di appartenenza, in ragione dell’attività libero-professionale non autorizzata, poiché la stessa era stata svolta in orari nei quali il professionista non era in servizio. Sottolinea inoltre il fatto che, secondo il disposto contemplato dall’art. 53, co.7, del D.Lgs. n. 165/2001, l’obbligato principale non è il pubblico dipendente, ma il soggetto che ha conferito l’incarico e, solo in via secondaria, e all’esito di una preventiva infruttuosa escussione del patrimonio dell’ente erogante, sorge l’obbligo del dipendente.

La Corte dei conti sezione prima giurisdizionale centrale, chiamata ad esprimersi in epoca ex ante legge 56/2023, espone alcuni concetti meritevoli di attenzione all’interno della nostra argomentazione:

  • Le prestazioni esterne eseguite dall’infermiere sono da ritenersi non legittimamente esercitate, e quindi idonee a determinare l’obbligo restitutorio, perché non autorizzate, o perché comunque non autorizzabili in quanto in contrasto con le disposizioni normative generali;
  • Relativamente all’importo percepito di euro 19.325,75, è da confermare l’assoluzione dell’infermiere, in quanto tale posta di danno si presenta connotata dai caratteri di alternatività e sussidiarietà rispetto al “lavoro dipendente” presso la struttura ospedaliera. Di fatto non risulta provato, neanche dalla Procura regionale, l’eventuale pregiudizio e/o disservizio arrecato dal dipendente all’Amministrazione di appartenenza, in ragione dello svolgimento dell’attività libero professionale non autorizzata. Tali prestazioni professionali non si sono sovrapposte ai turni presso l’Azienda ospedaliera, in quanto venivano effettuate durante i periodi di ferie fruiti dal dipendente nell’ambito del rapporto di lavoro.

Mettendo a terra tale argomentazione, riducendo le affermazioni della Corte dei conti ad aspetti pratici, il suddetto organo di giudizio ravvisa la responsabilità dell’infermiere il quale ha esercitato attività libero professionale in regime di cumulo di impieghi, che, come tale, non è consentita ai dipendenti della pubblica amministrazione in generale, per cui è fattibile (da parte dell’azienda sanitaria) pretendere l’obbligo restitutorio relativo alla somma di euro 37.183,07. Non tiene invece la parte del ricorso relativa alla richiesta dell’importo di euro 19.325,75 visto che non risulta, come affermato in precedenza, l’eventuale pregiudizio e/o disservizio arrecato in quanto il lavoratore aveva prestato la sua opera libero-professionale, durante i turni di riposo o di ferie.

Certamente la sentenza appena descritta appare complessa ed articolata, di difficile interpretazione e comprensione ai non addetti ai lavori. Resta da sottolineare il fatto che oggi fortunatamente abbiamo una normativa nuova, possibilmente supportata ed integrata da regolamenti regionali e soprattutto aziendali, grazie ai quali prende forma la legge 56/2023, soprattutto in termini di autorizzazione, eventuali conflitti di interessi e tempo utile da dedicare alla libera professione.

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