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Si può ancora morire di TSO

2023-12-17 00:19

Muzio Stornelli

Responsabilità professionale, Sentenze, spunti di riflessione,

Si può ancora morire di TSO

Le panchine e le piazze sono sinonimo di socialità, convivialità, gioia, serenità. Eppure, c’è una panchina in un giardino, in una piazza dove la gioi

Le panchine e le piazze sono sinonimo di socialità, convivialità, gioia, serenità. Eppure, c’è una panchina in un giardino, in una piazza dove la gioia ha lasciato il posto alla disgrazia, alla morte.

Ci riferiamo a Piazza Umbria (Torino) dove il 5 agosto 2015, a causa di un TSO “sopra le righe” Andrea Soldi perde la vita. Una sequenza di azioni e omissioni hanno di nuovo relegato il trattamento sanitario obbligatorio alla stregua di una condanna a morte!

Eppure, il legislatore, Franco Basaglia e a seguire la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (833/1978) hanno normato e ribadito la necessità di salvaguardare prima di tutto i soggetti fragili seppur in uno stato di disagio psichico affermando che i trattamenti sanitari volontari ed obbligatori possono essere disposti dall’autorità sanitaria nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione.

E proprio all’interno delle norme che si sono succedute negli anni, unitamente ad alcune circolari a cura dell’allora Ministero della Sanità e a seguire del Ministero dell’Interno sono rinvenibili alcuni vuoti normativi e procedurali i quali dividono in maniera ambigua la responsabilità sanitaria e in termini di sicurezza rispettivamente agli operatori sanitari ed alle forze dell’ordine (nello specifico la Polizia Municipale, visto che dipende dal Sindaco, autorità sanitaria in materia).

Andrea Soldi era un uomo affetto da schizofrenia paranoide per la quale necessitava l’assunzione di psicofarmaci, terapia che era stata interrotta dallo stesso Soldi da diversi mesi, ed in ragione di tale sospensione arbitraria, il suo psichiatra aveva ritenuto necessario procedere ad un ricovero. Si attiva quindi il percorso che porterà il sindaco di Torino ad autorizzare il TSO, trattamento che si concretizzerà il giorno 5 agosto 2015, a partire dalle ore 14:30, orario in cui il malato si trovava proprio nei pressi dei giardini di Piazza Umbria, seduto su una panchina (diventata poi la panchina del ricordo e del dolore)! 

Sul posto sopraggiungono il medico accompagnato dall’infermiere, la polizia municipale ed in seguito un’ambulanza.

Dopo alcuni minuti di inutile dialogo a cura dello psichiatra, segue l’intervento dei 3 operatori appartenenti alla polizia municipale, i quali immobilizzano le braccia, stringono il collo con la piega dell’avambraccio, determinandone il soffocamento per un tempo prolungato, tanto da fargli perdere coscienza. Procedono, poi, all’ammanettamento del Soldi con le braccia dietro la schiena, in posizione prona a terra, collocandolo sulla barella nella stessa posizione e sempre ammanettato. Giunto in ospedale, verso le 15:15, il paziente appare subito in gravissime condizioni e, nonostante le manovre rianimatorie e la ventilazione meccanica, alle ore 16:13 ne viene constatato il decesso.

Un trattamento sanitario obbligatorio diventa una condanna a morte.

Le conclusioni dei giudici di merito consegnano alla Polizia Municipale la responsabilità per aver cagionato la morte dell’uomo, attuando una misura di contenimento inadeguata e sproporzionata, senza averne controllato gli effetti e senza averla interrotta in corso di esecuzione, nonostante lo svenimento dell’uomo; mentre certificano che il medico non ha verificato, con prudenza e diligenza (insite nella professione del medico) le condizioni vitali del Soldi, in quel momento già privo di conoscenza, lasciandolo ammanettato e in posizione prona come lo avevano collocato gli operanti e come fu caricato sulla barella e poi sull’ambulanza.

L’iter processuale prosegue poi con i ricorsi formulati ed articolati a vario livello da parte del medico e dei dipendenti della Polizia Municipale; questi ultimi negano la cooperazione colposa nell’attività delle due parti intervenute, atteso che il titolare della posizione di garanzia nei confronti di un soggetto malato psichiatrico è esclusivamente il personale sanitario. Contestano anche l’accertamento della prevedibilità del fatto in concreto, ovvero la comprensione dell’aggravarsi delle condizioni cliniche del paziente, visto che non possono loro essere in grado di valutare la necessità di mettere l’uomo in posizione supina.

A carico degli agenti della Polizia Municipale è stato ravvisato l’addebito di avere adottato una misura di contenimento inadeguata e sproporzionata, per modalità e durata della compressione esercitata sul collo, nei confronti di un soggetto che non aveva manifestato comportamenti auto o etero aggressivi sul piano fisico, né uno stato di agitazione psicomotoria.

Il medico, dal canto suo, tramite il consulente di parte dichiara di non potersi affermare con certezza che un “intervento conforme alle linee guida del medico e dell’infermiere avrebbe potuto evitare l’evento infausto”. 

Per quanto attiene alla posizione dello psichiatra i giudici hanno ravvisato un profilo colposo nel contegno tenuto nell’imminenza della manovra di contenimento e durante la sua esecuzione, per non aver indirizzato gli operanti su quando intervenire, per non avere prestato attenzione alle condizioni del paziente e non essersi attivato in suo aiuto facendo interrompere la contenzione. 

A tal riguardo i giudici hanno, di fatto ribadito, quanto espresso dalle raccomandazioni contenute nel documento del 29/04/2009, stilato dalla Conferenza delle Regioni e Provincie Autonome: “la titolarità della procedura di TSO appartiene alla Polizia Municipale in tutta la fase di ricerca dell’infermo e del suo trasporto al luogo dove inizierà il trattamento; al personale sanitario spetta la collaborazione per suggerire le precauzioni opportune per rendere meno traumatico il procedimento e per praticare gli interventi sanitari che si rendessero necessari; la collaborazione tra le due componenti permetterà di conciliare sicurezza e qualità dell’assistenza”.

A parere del Giudice di Cassazione i ricorsi sopra menzionati sono stati rigettati con la seguente motivazione: l’insieme di fattori che, in sequenza causale, hanno contribuito alla morte sono stati l’eccessiva compressione del collo del malato, unitamente all’ammanettamento con successiva pronazione dell’uomo.

Questo è il triste epilogo di un trattamento andato davvero sopra le righe!

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